destionegiorno
![Giorgia Spurio](http://www.scrivere.info/images/biophoto/150/5948_150.jpg) |
Giorgia Spurio, nata il 21/12/1986 a Ascoli Piceno, ha lavorato in progetti educativi, dedicati all’educazione civica e musicali. È docente di lettere presso la scuola secondaria di primo grado. Ha vinto vari premi letterari nazionali e internazionali di poesia e narrativa. Ha pubblicato le ... (continua)
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Dicono che le nevi si sciolgono,
dolci nenie di bianco ardore,
e cadono lungo le gambe dei pendii.
Dicono che le fate si addormentano,
dolci gli elfi di nascosto
rubano bacio all’albero dimora
e il sole si sveste di silenzio
e sposo si dona al... leggi...
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Parte il pensiero,
frammenti di lacrime estranee
a questa casa
che ingoia anime senza perché,
che ingoia bolle che l'ossigeno stringe in un bavaglio
messo alla bocca per far tacere il dolore
Madre, non chiudere quella porta,
qui sola... leggi...
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No, non mi lasciare.
Sarò come bimba, piccola,
che non sa ancora camminare
e senza latte –gattonando,
per vie, scale, e strade-
in cerca di quel Nero,
il nero dei tuoi occhi.
No, non camminare,
non voltandoti,... leggi...
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Di pioggia che non c’è
ma solo di assenza ha il profumo
come la luce.
Di tigli che non vogliono fiorire,
e del sole che corruga le ciglia
su di un tappeto che non vola,
è il ferro che il vento
trasporta tra gli specchi delle vie crucis.
Ti ho... leggi...
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Si guardava, come di un estraneo
il viso, allo specchio,
e quel sorriso, un ghigno,
senza pensare al diavolo
che era nascosto sotto al letto.
Era in ogni dettaglio,
il buio, e le sue maschere,
un carnevale fittizio
con coriandoli tra la... leggi...
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Non lo sopporto più...
quella pioggia che cade
come ghiande d'albe
che piangono all'estate
Non lo sopporto più...
quella mano che geme
trema come Aracne soffocata
fanciulla che senza voce
tesseva al respiro ricami d'oro
che... leggi...
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Lacrime di seta
logorano il kimono che riveste
l'anima del cuore
come sottile trasparente velo
che non sa cosa sia il cielo...
E lo tocca con un altro respiro
e lo bacia con un sospiro che non è proprio
Soffoca come un pugno allo... leggi...
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E dondoli la testa
come bambola di porcellana
E sbarri gli occhi
come ratto affamato
E muovi la bocca
come sdentato silenzio
E urlo
e mi muovo...
e sonnambula ti amo...
Luce che nel neon
si incastra, cristallizza come baco da seta
larva... leggi...
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Fai silenzio,
vieni con me
ti porto nel mondo dei miei sogni
dove li ammazzo uno ad uno
con fili di bambole.
Sai, un giorno vidi un fantasma con le ali
Pensavo fosse un angelo
Lo vidi di schiena e toccai il suo nulla
mentre mi sorrise lacrimando... leggi...
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Il nulla si sbriciola
tra le dita del vento
E il cuore cerca scale
per arrivare al tetto
dei cieli grigi e dipingerli
con i polpastrelli sporchi di tempera
Acquerelli dall'odore di zagare e aranci
impressionistici dipinti
dove gli... leggi...
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Passo di lepre
correndo come volpe
stanando tane dalle trappole
E l'estasi del peccato
non perdona
come sifilide che coglie
il malcapitato
lì derubato
dai corvi come spaventapasseri
Non inchinarti al canto delle ninfee
arpie... leggi...
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Se ti chiedessi di rubarmi l'ombra?
e poi di cucirla al muro?
Se mi avvicinassi per sussurrarti il mio nome?
e poi di bere la mia memoria?
Se ti chiedessi di toccarmi?
e poi di posare la mia anima senza più voce?
come rosa dove macchie... leggi...
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Leccherò le tue lacrime
Ucciderò i tuoi fantasmi
Voglio esser tua
Baciami, corrodimi ogni sentimento
E di te mi basta il silenzio
Leccherò le tue piaghe e i tuoi pianti
Leccherò le tue solitudini e le tue... leggi...
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Rose di sangue
dai tramonti delle comete
Stelle piangono
parole che dipingono le mani
Donne, coperte dal loro velo
Bambine, sfregiato hanno il seno acerbo
Il padre bestemmia la sua rabbia
Iraconda bellezza, la moglie sfida il buio delle... leggi...
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Era un uomo di cinquanta anni. Senza più famiglia e senza più lavoro. I suoi capelli bianchi e unti gli coprivano la testa sotto la pioggia. L’umidità e il freddo entravano dispettosi nelle costole, mentre la desolazione della stazione lo esaminava e lo baciava.
Dario quella notte non dormì e non fu la rigidità dell’inverno la causa.
Si era alzato dal letto, aveva guardato sua moglie. Aveva ammirato in silenzio quella donna che gli aveva donato cinque figli. L’aveva guardata come se la spiasse e, attento a non svegliarla, le aveva spostato i capelli delicatamente. Era la sua compagna di vita.
Il primo bacio, la prima volta in quello chalet abbandonato trasformato in un castello solo per lei, i suoi occhi neri sotto il velo bianco, i suoi capelli raccolti in una lunga treccia nera e morbida, i suoi baci sulla propria pelle, la nascita della primogenita, il sorriso dei suoi bimbi: tutto vagava confuso nella mente di Dario. I ricordi lo mangiavano. Ma era stato licenziato senza ritegno dopo trenta anni di fedeltà. Aveva perso i pochi soldi rimasti al maledetto gioco delle carte. Si era guardato allo specchio con ribrezzo e aveva sputato sulla propria immagine. Aveva scosso la testa e aveva pianto appoggiato al tavolo della cucina. Aveva preso un foglio e aveva scritto il suo addio: “Lucia, perdonami. Perdonami perché ho rovinato tutto. La ditta mi ha licenziato. E i soldi che avevamo in banca, li ho persi. Perdonami. Amore, ho fatto un’assicurazione sulla vita. Amore mio, prenditi cura dei bimbi. Dì loro che io li ho sempre amati. Amore mio, anche tu devi saperlo…ricorda che io vi ho sempre amato. Amore mio, addio.”
Scrisse, lasciò il foglio sul tavolo, si vestì. Prese una valigia che fu riempita non di abiti ma di foto. Avrebbe preso il primo treno che passava e nel treno avrebbe pensato il modo con cui morire facendolo sembrare un incidente. Indossò il giubbotto e prima di aprire il portone di casa volle aprire la camera dove dormiva il sangue del suo sangue. Li guardò uno ad uno pensando che se gli angeli dormissero sicuramente durante il sonno avrebbero avuto lo stesso volto dei suoi figli. Il piccolo Mattia era abbracciato alla sorella maggiore Giulia. La dolce Ilenia dormiva stringendo un libro sotto le coperte. Il combina-guai Gianni russava sul suo letto con indosso ancora gli occhiali da vista, storti sul suo naso. E la piccina Elisa stringeva il suo orsetto.
Li baciò con il pensiero e poi decise di andare. La città era ancora avvolta dal buio mentre l’orologio, imperioso sulla piazza, diceva che ore fossero: le 4.30. Dario vagabondò per le strade. Andò sul ponte e guardò il fiume. Andò davanti al duomo e parlò con le statue. Parlava del suo dolore, chiedeva se loro ricordassero quegli anni lontani quando era fidanzato e spensierato. Parlò di Lucia e della sua bellezza. Parlò dei suoi figli e delle loro marachelle. Parlò con i fantasmi del suo presente che come diabolici spettri gli stringevano il collo. L’orologio avvertì che erano le 5.00, però Dario voleva dire, confidarsi, piangere. L’orologio allora informò l’uomo che un’altra ora era già passata e che erano arrivate già le sei della mattina. Gli occhi azzurri di quel padre guardò il sole sorgere e si fece coraggio. Andò alla stazione senza biglietto e senza documenti. Guardò gli orari dei regionali. Uno doveva passare dopo circa un quarto d’ora.
Andò al binario. Si sedette e osservò quelle poche persone che partivano così presto. Si sedette pesantemente come se le sue preoccupazioni, attorcigliate alla sua persona, lo tenessero prigioniero e lo trascinassero verso gli inferi. “Eccolo”- pensò mentre vide arrivare il treno. Sembrava un automa pronto a salire su un mezzo che l’avrebbe portato non si sa in quale città, ma sicuramente verso quella triste destinazione che egli si era predestinato.
Ma una voce nella nebbia lo svegliò. La voce di una ragazzina, dall’altra parte, sul binario opposto, dietro il treno. Allora lui si fermò. Le palpitazioni del cuore si bloccarono per poi riprendere accelerate. Gli occhi disorientati guardavano il treno e il proprio udito cercava quella voce come un neonato che cerca il seno della madre. Lasciò che il suo treno se ne andasse senza di lui. E la vide. Ero io. Ero io che gridavo: “Papà, papà!”. Ero io che urlavo: “Non te ne andare.” Ero io, sua figlia, Ilenia, pronta a fermare il proprio padre.
Forse quella mattina mio padre pianse. Forse guardando la mia figura esile nel freddo di quella stazione, che con nulla diveniva complice del rapimento di anime, mio padre ritrovò la speranza. Eravamo lontani, i binari ci separavano, ma i nostri occhi lucidi e gonfi si guardarono a lungo come se parlassero un linguaggio tutto loro. Erano i nostri cuori che parlavano attraverso gli sguardi. Mio padre chiedeva perdono, io chiedevo nessun abbandono, lui chiedeva amore, quell’amore che io gli dissi fissandolo e dimenticandomi del mondo: “Papà, ti voglio bene, torna a casa.” Lui sorrise, il sorriso commosso di un uomo che prese la sua valigia per tornare alla sua vita, da sua moglie e dai suoi figli.
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managgia mi hai fatto piangere..molto bella (Nutellina)
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